Succede anche ai bravi di inciampare in sciocchezze. Succede anche a persone intelligenti, quale certamente è Marco Montemagno, di cadere nel caro, vecchio trappolone del moralismo da supermercato, a proposito di marketing.
E gli succede proprio quando è intento ad applicare il marketing a sé stesso, come egregiamente fa da qualche anno, diffondendo in rete le proprie video-verità (in modo molto pop, come oggi si conviene).
Un vizio antico
Puntare il dito sul marketing è un vizio che ha radici ben lontane.
Ai tempi di Roma Caput Mundi il marketing non esisteva, ovviamente, ma certe cose che vi si riconoscono, sì: il commercio, per esempio. Quest’attività era stata affidata alle attente cure del dio Mercurio – la cui radice etimologica, mercator, significava appunto mercante.
Forse covando già l’idea che fece dire, secoli dopo, a San Tommaso d’Aquino, che nel commercio, est quandam turpitudinem, i nostri avi pensarono di impegnare Mercurio part-time anche su un’altra categoria, diciamo, professionale. Evidentemente la consideravano affine a quella dei commercianti: si trattava dei ladri.
La causa è chiara: la persuasione; un ingrediente fondamentale, nel cocktail dell’attività di vendita, che presta il fianco a ogni genere di stigma.
Intellettuali all’attacco
La persuasione, appunto: alla fine degli anni 50, il giornalista statunitense Vance Packard pubblica un’opera il cui titolo diverrà una sorta di mantra per i critici del marketing: I persuasori occulti. Libro interessante (ma spesso discutibile e preda di preconcetti), che racconta di come la psicanalisi si piegò agli interessi di chi aspirava a condizionare la volontà delle masse – fossero scelte di consumo o di voto.
Circa cinque decenni dopo è il turno di Naomi Klein a sfruttare l’indignazione moraleggiante contro il marketing. No Logo è un’opera che presenta, rispetto alla prima, una ben minore caratura intellettuale ma fa comunque successo, prendendo di mira qualche multinazionale e la marca, nuova protagonista dei mercati.
La lista dei nemici letterari del marketing è comunque ampia e ben frequentata: Zygmunt Bauman, Erich Fromm, Herbert Marcuse, Pier Paolo Pasolini, Michele Serra – e chissà chi altri qui dimentichiamo.
Povero Marketing!
C’è proprio da dire che il marketing non è mai stato capace di vendere sé stesso. La sua reputazione è pessima: Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario, lei mi crede pianista in un bordello; Fare marketing rimanendo brave persone sono i titoli di due libri scritti da chi fa marketing e vorrebbe non vergognarsene.
Allora, viene da chiedersi: per quale ragione uno che di marketing sembrerebbe capirne, come Montemagno, ripesca dal cassetto un proprio video – 8 classici trucchi di marketing in cui caschiamo ogni giorno – e lo rivitalizza in rete? Perché i giornalisti sembrano fare a gare nell’etichettare “marketing” ogni (supposto) trucco, sotterfugio e scappatoia furbesca?
Facile risposta: perché additare il marketing è una risposta semplice e di sicuro successo, buona per ogni occasione; perché fa l’occhiolino al nostro amore per la dietrologia e il complottismo. Ecco perché.
Fare mercato
Caro Montemagno, caro Serra, cara Klein (ci rivolgiamo ai vivi, evidentemente): non confondete il marketing con la vendita. Non confondete un sistema di pensiero genuinamente multidisciplinare con degli stratagemmi da suq, peraltro di dubbia efficacia; non mettete sullo stesso piano un’attitudine creativa e quella all’inganno, se non alla truffa; non mischiate un sistema complesso di attività con dei trucchetti.
La parola marketing è intraducibile in italiano, e questo non ha certo aiutato a comunicarne il senso profondo, che però è semplice: fare mercato.
L’impresa fa prodotti e fa mercato per questi prodotti. E il punto è che oggi, in condizioni di strutturale sovrabbondanza di offerta, la seconda competenza è probabilmente più decisiva della prima. Se l’impresa non sa farsi un mercato, non saprà definire i propri prodotti, né generare i propri clienti e chiuderà, licenziando. Ricordate una certa Fiat? E il declino di Sergio Tacchini, Diadora o Ariston? Davvero il marketing non serve? Davvero conta solo fare prodotti?
Fare mercato non è mettere un prezzo dispari o fare sconti farlocchi. È la guida nel fare i prodotti che faranno i loro clienti; per questa via, l’impresa prospererà e si ingrandirà, creando lavoro e ricchezza e, perché no?, ispirando nuovi prodotti, rispettosi dei valori positivi dominanti in una società.
Niente trucchi ma opere di bene, insomma.
Danilo Arlenghi
– Presidente Club del Marketing e della Comunicazione
– Managing director Party Round Green
– Editore Marketing Journal
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