Le ricerche di mercato e i dati (23). Prontuario di Paolo Duranti

La raccolta e produzione dei dati

Definito l’universo di riferimento e costruito un campione di buona qualità è ora il momento di raccogliere i dati.

Inutile dire che anche in questo ambito la tecnologia ha permesso di “industrializzare” il più possibile la raccolta dei dati che, ad esempio, per quanto riguarda gli acquisti sviluppati nei punti vendita, per diversi anni sono stati raccolti manualmente. La formula originale sviluppata dal fondatore di Nielsen (Arthur Charles Nielsen) era: vendite = stock 2 – stock 1 + acquisti

Stock 1 era la misurazione dello stock presente in magazzino al tempo 1; stock 2 era la stessa cosa effettuata nel tempo 2 (l’intervallo storico tra una rilevazione e la successiva era di 2 mesi); gli acquisti venivano registrati attraverso le fatture e bolle di accompagnamento della merce che si chiedeva al negoziante di conservare. Procedimento alquanto semplice come disegno, ma particolarmente complesso e faticoso per il rilevatore. Tuttavia, per decenni, nel mondo intero questo è stato il metodo utilizzato per fornire le informazioni quantitative sui mercati del Largo Consumo.

In seguito 2 fenomeni hanno generato la grande opportunità di avere dati più sicuri e granulari:

  • lo sviluppo della tecnologia di cui si dotava il negozio (ovviamente prima Supermercati e Ipermercati della Grande Distribuzione e progressivamente anche nei negozi di dimensioni più piccole)
  • il ruolo dominante e crescente della Grande Distribuzione che rappresenta il canale di gran lunga più importante e che sviluppa la maggior parte dei beni in commercio

Questo ha permesso di sostituire la macchinosa e costosa rilevazione manuale con il trattamento di banche dati direttamente inviate dalla Distribuzione a Nielsen. Non deve sorprendere che un insegna della GD “accetti” di fornire i suoi dati ad un terzo: ci si potrebbe chiedere infatti: “perché danno i dati quando li hanno tutti in casa?” I motivi sono sostanzialmente 2:

  • i dati a disposizione della GD sono appunto “dati”, ma non sono informazioni. La differenza abissale tra i due è la modalità di trattamento, organizzazione e restituzione dell’informazione all’utente finale. Avere tanti dati (miliardi di numeri) ma non organizzati attraverso una classificazione omogenea e condivisa, non serve a nulla, non genera alcuna informazione. E’ un lavoro tutt’altro che semplice che pertanto richiede competenze, metodologie e tecnologie non presenti nella GD.
  • l’insegna X che possiede tutti i dati, oltretutto anche disponendo delle carte fedeltà che producono anch’essi i dati di miliardi di transazioni, ha bisogno di conoscere l’intero mercato e soprattutto monitorare i propri concorrenti.

Pertanto l’intero mercato fornisce i dati “grezzi” (cioè non controllati, puliti, organizzati….) a Nielsen e questa restituisce banche dati fruibili per le necessarie analisi di mercato e controllo concorrenza

L’automazione di questo processo ha inoltre permesso di alleggerire il compito dei rilevatori che, a questo punto, vengono più utilizzati per raccogliere i cosiddetti causal data (mi raccomando causal, non casual!) consistenti ad esempio in misurazioni precise dei prezzi di vendita, delle promozioni, della composizione degli scaffali, delle attività di merchandising svolte direttamente dalle aziende (ad esempio attraverso installazioni speciali, totem informativi, promoter etc… )

Tornando alle sopracitate carte fedeltà, è interessante rilevare come anche in questo caso la disponibilità di dati di migliaia di clienti permette solo parzialmente la conoscenza del comportamento d’acquisto del consumatore. Questo non solo in quanto, come già citato, l’insegna dispone di miliardi di dati non facilmente convertibili in informazioni, ma anche perché quello che conoscerebbe dei suoi clienti è il loro comportamento all’interno dei propri punti di vendita, ma non sa nulla di quale sia il comportamento d’acquisto generale del suo cliente.

Un paio di esempi “reali”al riguardo.

Il primo: l’insegna X ordina i suoi clienti da quello che acquista di più a quello che acquista di meno e di fatto i meccanismi di premio sono basati su questo criterio. Ma è possibile, e sovente misurato, che il primo cliente dell’insegna X sia alto-spendente in generale e acquista quantitativi importanti di prodotto anche in altre insegne, nel negozio di vicinato, al mercato rionale (fenomeno questo quasi diventato trendy).

Pertanto viene premiata la fedeltà che fedeltà non è; mentre un cliente che si trova a metà del ranking e che acquista tutto il suo repertorio di consumo, percepisce premi inferiori, o nulla, pur essendo davvero fedele all’insegna in quanto acquista nella stessa il 100% della sua spesa.

Il secondo: l’insegna X effettua un analisi sui dati di acquisto di una certa categoria, isolando i propri clienti (dato rilevato nel monitoraggio in famiglia, attraverso il Consumer Panel).

Le quote di mercato calcolate sui soliclienti dell’insegna permettono di conoscere il loro repertorio di acquisto della data categoria: chi è la marca leader, la seconda etc e si scopre che la fetta più importante dei loro acquisti è sviluppata dalla Marca del Distributore (Private Label), peccato che la Private Label non era quella della insegna X in quanto non l’ha in assortimento: quindi buona parte degli acquisti di quella categoria merceologica viene fatta in un’altra/altre insegna/e.

Una preziosa informazione che ha indotto infatti l’insegna ad introdurre anche lei la Private Label, non solo aumentando le vendite della categoria, ma soddisfacendo una esigenza chiaramente espressa dalla propria clientela.

Paolo Duranti
esperto in ricerche di mercato e dati relativi ( trade – consumo – media)
Past Vice Presidente di IAA – International Advertising Association
Consigliere Nazionale del Club del Marketing e della Comunicazione (www.clubmc.it)
pmduranti@gmail.com

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