La NON comunicazione di Marina Martorana

Il “non” comunicare è ben più diffuso del comunicare

Nessuna improvvisazione, bisogna conoscere le tecniche e fare esercizio – o avere esperienza – per saperle applicare nei vari contesti

Parlano, parlano, parlano eppure nulla dicono. Parlano e offendono. Parlano e annoiano. E sono certi di essere bravi comunicatori, disinvolti, spiritosi, simpatici.

Purtroppo, invece, siamo alle solite: non si tiene molto spesso conto che comunicare non è un’improvvisazione ma una disciplina, che dunque richiede conoscenza della tecnica ed esercizio.

Tipico dei politici il parlare con enfasi senza mai andare al sodo. Alcuni ne sono consapevoli, anzi, lo fanno di proposito certi di ammaliare il grande pubblico inondandolo con fiumi di parole.

Altri no, dietro all’incessante parolame condito da stereotipi celano una mancanza di programma, di idee, di veri contenuti. Saranno poi i fatti a distinguere, in ambo i casi sono pessimi comunicatori.

Nel mare magnum della nostra società ci sono poi i maestrini, quei tipi che sembrano sempre in cattedra, certi che sfoggiare la loro cosiddetta cultura sarà molto apprezzato dagli altri. E invece no. Una volta sciorinavano in ogni frase i motti o gli intercalare in latino, da ergo a alea iacta est.

Oggi sono passati allo strauso della lingua anglosassone, tipo “vado al brainstorming per il retail network del nuovo luxury brand”.

Una regola basilare dei veri comunicatori sta proprio nel non mettere a disagio gli interlocutori, nel non farli sentire socioculturalmente inferiori. Quindi, usare parole di comune comprensione è un passo verso il successo del proprio enunciato. Non il solo.

Bisogna prestare attenzione a non interrompere l’altro e, anche se non dice cose avvincenti, a non sbadigliare, a non guardare l’orologio nè dare altri segni di insofferenza.

I più abili veterani della comunicazione conoscono gli escamotage anti-noia, contegno in primis e testa altrove senza che l’altro se ne accorga – intervallato a sguardi dritti negli occhi – a seguire. Mera questione di esercizio.

Un’altra regoletta importante per ben comunicare consiste nell’evitare i vari io-me-mi. Bando all’egocentrismo, il porsi in prima persona nei discorsi non crea armonia nel rapporto.

Idem relegare la controparte in posizione di svantaggio, sia pur inconsapevolmente. Importantissimo tener sempre conto con chi si ha a che fare per evitare di sovrastare con parole inadeguate.

E ancora, condire il discorso o il testo scritto con battute e aforismi esilaranti, non solo permette all’audience di avere una piccola pausa amena per stemperare il profluvio di parole, ma anche di richiamare l’attenzione dei distratti, che scende fisiologicamente con l’aumentare del tempo, e rendersi così più piacevoli, divertenti e accattivanti

Comunque, una delle teorie più diffuse tra chi comunica professionalmente riguarda la ricerca di Albert Mehrabian.

Lo psicologo statunitense ha valutato che le parole rappresentano solo il 7% della comunicazione, il resto è delineato al 38% dalla comunicazione paraverbale e ben al 55% dalla comunicazione non verbale.

Non tutti gli esperti concordano con questa tesi, ma è innegabile che, al di là dei numeri, ci sia parecchio di vero.

In sintesi:
Non verbale: tutto ciò che riguarda il movimento del corpo, la gestualità e la postura
Paraverbale: quanto è inerente al tono della voce, alla velocità, al ritmo
Verbale: il contenuto e l’informazione trasmessa

Facciamo un piccolo esempio. Il tizio noiosissimo con il quale ci stiamo relazionando ( magari affinché diventi nostro cliente ) racconta con dovizia di dettagli aneddoti della sua infanzia e noi ce ne stiamo seduti, accartocciati su noi stessi, gambe accavallate, braccia conserte e sguardo nel vuoto. E’ evidente che, sia pur in silenzio, ci stiamo annoiando. Lui lo recepisce, se la prende e non imposterà un rapporto di lavoro con noi.

Le tecniche non verbali, infatti, suggeriscono di star seduti in modo eretto e composto, gambe unite, braccia sciolte e di guardare talvolta negli occhi chi sta parlando, attenzione, non fissarlo bensì dargli con lo sguardo un segnale di attenzione.

Sempre per esemplificare ma questa volta col paraverbale, poniamo che si voglia esprimere il proprio disappunto su qualcosa espresso dall’altro durante un incontro d’affari. Un conto è alzare il tono della voce e dirgli d’un fiato ” Ma che stai dicendo? Non è affatto così!”
Un altro è argomentare con calma, senza alterare la vocalità:” Perchè tu la vedi così? A me non sembra, parliamone”

Le tre sacrosante C – chiaro, corretto, conciso – non sono tutto. E neppure la sia pur molto apprezzabile buona educazione.

Perchè non ultimo, rendersi conto che comunicare sia davvero complesso spinge ad analizzare il nostro modo di porsi e, forse, a capire certi insuccessi relazionali.
No, non è sempre colpa degli altri.

di Marina Martorana
studiomarinamartorana21@gmail.com
www.marinamartorana.it