La Green Communication: chi vuol esser green…sia! di Marina Martorana

Basta CO2, la sostenibilità è la chiave per un trasparente domani di certezze. Ed ecco (anche) la green communication

Ricordate la trasmissione RAI “A come Agricoltura” che andava in onda negli anni Settanta? Ai tempi era una rarità incompresa dalla massa, non si parlava di mangiare a chilometro 0, di cibo genuino, coltivazioni biologiche annessi e connessi.

D’altronde, occhio al calendario, l’ONU varò la sua prima conferenza sull’ambiente nel 1992. E proprio in quell’occasione nacque la definizione di sostenibilità: “condizione di un modello di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

Un faro illuminante per arrivare alla consapevolezza di azioni rispettose, guardando al futuro di ogni scelta.

Perchè possiamo suddividere la sostenibilità in tre elementi cardine: ambientale con il giusto utilizzo delle risorse, economica come capacità di generare lavoro e reddito, sociale per l’equità, sia in senso culturale che giuridico.

Oggi viviamo immersi in definizioni sostenibili, green, ecofriendly, a basso impatto ambientale, senza CO2, con energie da fonti rinnovabili, animal free. Usate per reclamizzare generi di uso quotidiano come alimentari, prodotti per l’igiene e cosmetici. Ma non solo.

Dando un’occhiata ai beni di lusso, va detto che la stilista Stella McCartney già nel 2011 dichiarò da antesignana:” La sostenibilità è per me uno stato d’animo. La cosa più importante sta nell’usare le risorse naturali con consapevolezza”.

E ben il 77% della sua attuale collezione autunno-inverno è realizzata con materiali sostenibili. Per esempio, utilizza lana proveniente da allevamenti selezionati per il loro adeguamento alle normative in materia di benessere animale e pratiche agricole rigenerative.

E che dire del nylon ecologico di Prada e del programma contro la deforestazione di Burberry?
Ma pure tante altre firme, tra cui non mancano Versace, Armani, Dior, Gucci, viaggiano spediti sulla eco-scia.

In pratica, cercano di cambiare alcune metodologie di produzione e sperimentano nuove linee più etiche e carbon free, eliminano quasi del tutto e, via via, del tutto l’impiego di pellicce animali. Non certo ultimo, si impegnano nello smaltire in modo decisamente più sostenibile gli scarti.

Ed ecco che il green branding balza in cima alla hit parade e la green communication diventa la nuova frontiera della comunicazione.

Già, ma come essere certi che quanto i comunicatori illustrano sia vero e non la solita manfrina modaiola priva di contenuti, una mera strategia accalappia-consumatori ?

Nel 2014 è intervenuto lo IAP ( Istituto Autodisciplina Pubblicitaria), varando un nuovo articolo del Codice di controllo comunicazioni, per redigere le linee guida cui attenersi con i green claim. Standard precisi di correttezza affinchè la propaganda ecologista non diffonda bubbole, che sia veritiera.

Bisogna poi precisare che non esiste (ancora) un vero esperto di green communication. Il comunicatore ambientale, infatti, deve o dovrebbe avere specifiche competenze sull’ambiente, conoscere in profondità e interpretare la crisi climatica e l’abc dell’economia circolare. Oltre a essere in grado di motivare ogni eco-scelta aziendale e scrivere progetti per finanziamenti, opportunità, bandi e quanto ruota nella green economy.

Saper rispondere a ogni quesito in modo onesto, completo, dettagliato e pertinente è in gran sintesi il ruolo di questa figura professionale in fase di nascita e formazione. Il pubblico-gli utenti-i clienti oggi sono troppo sgamati per non nasare, benchè non esperti in materia, l’inganno dal concreto. Essere assolutamente preparati è quindi fondamentale per la credibilità – e quindi, andando al sodo, al business – di aziende, imprese, start-up sul mercato.

Perchè la trasparenza è un imperativo della green communication. E alle parole, van fatte seguire azioni concrete: importante la coerenza tra comportamenti e messaggi lanciati.

Insomma, bisogna essere onesti nella descrizione dei prodotti, ottenere (almeno) un certificato green, utilizzare un linguaggio immediato e appropriato, sintetico ed efficace. Mai essere generici: elencare numeri, analisi, rendiconti, certificazioni.

La concorrenza verde, si sa, è enorme. Affollata non solo da imprese vocate alla sostenibilità ma pure da quante decidono di cambiare rotta e si trasformano, per rendere effettivo il minimo impatto delle proprie attività sull’ambiente.

Non si sfugge, insomma, alla natura. E’ finita l’era di “il mio è il migliore di tutti”.
Oggi bisogna dimostrarlo.

di Marina Martorana
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