La comunicazione nell’emergenza sanitaria, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Bartoli agli Stati Generali

Giornalismo sul campo durante il Covid, ricerca  e valorizzazione delle fonti ufficiali, argine alle fake news e pluralismo delle opinioni. Questi i principali temi affrontati dal presidente del Cnog Carlo Bartoli intervenendo agli Stati generali della Comunicazione sanitaria, a Roma.

“Ritengo che, nella pandemia, sia stato ampiamente rispettato il principio del pluralismo sia nel dibattito scientifico che politico, e infatti sono giunte addirittura le critiche di “infodemia”; ma la diversità delle voci è l’anima della democrazia oltre che un aspetto fondamentale della nostra professione.” –  ha affermato Bartoli –   Nelle carte deontologiche dei giornalisti    vi è un passaggio preciso sull’informazione scientifica e sanitaria e quello  costituisce la nostra bussola.

Oggi algoritmi e intelligenza artificiale rischiano di sostituirsi del tutto  al lavoro umano anche nei media, – ha proseguito  il presidente del CNOG – con il pericolo di essere guidati da programmatori il cui scopo  sia  solo ed esclusivamente il profitto (se non peggio) facendo venir meno la funzione democratica della mediazione giornalistica.

In questo contesto il giornalismo professionale deve fare il massimo sforzo per mostrare il valore aggiunto della qualità dell’informazione, che significa verità sostanziale  dei fatti, rispetto della deontologia, approccio etico e pluralismo. ”

Ecco l’intervento completo:

Innanzitutto intendo rivolgere un pensiero di vicinanza e solidarietà a tutti coloro che stanno vivendo questa tragedia in Ucraina. Pensavo di non dover mai più sentire la parola “guerra” in Europa.

Abbiamo alla spalle due anni di pandemia da Covid-19, due lunghi anni di stato di emergenza sanitaria, di restrizioni, lutti e crisi economica. L’arrivo dei vaccini ha indicato la via d’uscita ed è il momento di trarre indicazioni da quanto accaduto, non per recriminare ma per contribuire alla ripartenza del nostro Paese, tutti insieme.

L’informazione professionale ha svolto un ruolo importante in questi due anni, tante colleghe e colleghi sono stati in prima linea sin dai primi giorni delle “zone rosse”, consapevoli del rischio di esposizione ma facendo il proprio dovere in sicurezza.

Altri,  come tutti i lavoratori, hanno  dovuto adottare misure straordinarie. In alcuni casi già testate e quindi efficaci, in altri con enorme sforzo ma anche con una grande capacità di adattamento, fatica e impegno.

Mi riferisco allo smart working ed a tutte le condizioni straordinarie in cui le diverse redazioni  si sono trovate a causa dei vari lockdown.
 
Il bilancio da questo punto di vista è certamente positivo, abbiamo fatto tutti un salto tecnologico da cui non si tornerà più indietro, adesso si tratta di trovare il giusto equilibrio tra lavoro “tutto digitale” e l’importanza di stare sul campo e incontrarsi in presenza.

C’è un dato che vorrei segnalare: diverse ricerche universitarie (Morcellini 2021, UniNapoli, commissionata da Cnog, 2020) hanno rilevato, durante la pandemia, un sostanziale incremento degli utenti del web che si sono rivolti, sia dai motori di ricerca che dai canali social, alle fonti giornalistiche certificate ed a quelle  istituzionali.  

Un indubbio segnale di fiducia a fronte del dilagare di fake news e manipolazioni soprattutto nel mondo dei social media. Credo sia un segnale da non far cadere. Giornalisti e comunicatori istituzionalilo dovrebberotenere ben presente per migliorare continuamente la qualità dell’offerta.

Certo occorre fare qualche distinguo. La comunicazione istituzionale centrale  è stata molto efficace, completa ed esaustiva, ma non si può dire la stessa cosa della comunicazione istituzionale a livello regionale che ho trovato carente.

Non solo quest’ultima è stata disomogenea, ma diversi amministratori locali, nella gestione della pandemia, hanno perfino cercato di trarre benefici individuali in termini di notorietà.

La  sempre più frequente coincidenza fra corretta comunicazione e giornalismo ci fa riflettere sulla necessità di riconsiderare certi steccati e certe ostilità ormai anacronistiche.

Altro punto riguarda l’attuale ecosistema digitale. Oggi algoritmi e intelligenza artificiale rischiano di sostituirsi del tutto al lavoro umano anche nei media,  con il pericolo di essere guidati da programmatori il cui scopo  sia  solo ed esclusivamente il profitto (se non peggio, quello di avere committenze “oscure”) facendo venir meno la funzione democratica della mediazione giornalistica.

E’ in questo contesto che il giornalismo professionale deve fare il massimo sforzo per mostrare il valore aggiunto della qualità dell’informazione, che significa verità sostanziale  dei fatti, rispetto della deontologia, approccio etico e pluralismo.

La debolezza del sistema editoriale italiano ha impoverito le redazioni, frammentando il lavoro giornalistico. Ci  siamo ritrovati ad avere pochissimi giornalisti specializzati  in materia sanitaria quando prima, invece, era uno dei cardini della cronaca insieme alla giudiziaria ed a quella “bianca”.

La lezione che arriva dalla comunicazione nell’emergenza Covid ci parla soprattutto dell’incertezza delle fonti. Dai cittadini veniva una domanda pressante e fondata di certezze, sia durante l’esplosione della pandemia che  con l’arrivo dei vaccini.

Il punto è che in questi due anni non ci sono state certezze assolute, neanche da parte della scienza.

A fronte di un “nemico” sostanzialmente sconosciuto come il Covid, anche la scienza (intesa come accezione ampia:  specialisti, centri di ricerca, istituzioni sanitarie) non ha fatto altro che procedere con il proprio metodo fatto di  ricerca e verifica.

Un metodo dinamico e in costante evoluzione che ha prodotto  risultati a volte contradditori a volte chiari. Ma questo non lo possiamo imputare ai giornalisti che, nella stragrande maggioranza dei casi, si sono attenuti alle regole del mestiere: verificare le fonti, utilizzare quelle certificate, garantire il pluralismo delle opinioni,  anche rispetto alle diverse letture dei dati.

Soprattutto nelle prime ondate del Covid l’informazione giornalistica ha seguito le stesse oscillazioni della comunità scientifica e dei decisori istituzionali. Si è andati avanti per tentativi e assestamenti, nessuno aveva la verità in tasca.

Nelle nostre carte deontologiche dei giornalisti  vi è un passaggio preciso sull’informazione scientifica e sanitaria ed è l’art.6 del Testo Unico che dice: “il giornalista evita nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate avendo cura di segnalare i tempi necessari per ulteriori ricerche e sperimentazioni.

E poi prosegue: Dà conto, inoltre, se non v’è certezza relativamente ad un argomento, delle diverse posizioni in campo e delle diverse analisi nel rispetto del principio di completezza della notizia.”

Ritengo che, nella pandemia, sia stato ampiamente rispettato il principio del pluralismo sia nel dibattito scientifico che politico, e infatti sono giunte addirittura le critiche di “infodemia”; ma la diversità delle voci è l’anima della democrazia oltre che un aspetto fondamentale della nostra professione.

Sicuramente vi sono stati alcuni eccessi nella spettacolarizzazione, soprattutto per quanto riguarda i talk show televisivi.  

Tuttavia ricordiamoci che la libertà di espressione è sacrosanta e che i confini di questa libertà sono disegnati dalla legge e, per i cronisti, dalla deontologia.

Compito dei giornalisti quindi, è quello di cercare  notizie e, soprattutto, di non nascondere mai notizie sgradite.

Ci tengo, in questa sede, a precisare un punto: l’importanza di  una corretta informazione sulla necessità del vaccino come strada maestra contro il virus, non vuol dire non indagare su quello che ruota attorno alla produzione e alla distribuzione dei vaccini.

E’ accaduto, qualche mese fa,  che a fronte di inchieste solide e documentate su alcune criticità del sistema produttivo dei vaccini in ambito internazionale siano piovute sugli autori (Report) accuse di essere no-vax; ovviamente strumentali e comunque minoritarie. Questo non è accettabile in democrazia.

Non si può pensare di attenuare le paure cercando di diffondere messaggi rassicuranti, se questi non sono fondati; allo stesso modo non è pensabile diffondere messaggi allarmanti e ansiogeni quando non ve ne sono i presupposti.

Ricordiamoci che il giornalista “deve”  fornire tutti gli elementi utili a una corretta comprensione di un fenomeno. Vale per il Covid  e per qualunque altro argomento.

Neppure l’ampiezza e la scansione temporale della diffusione delle notizie possono essere predeterminate. Ogni decisione deve essere guidata esclusivamente dalla rilevanza sociale e dall’interesse nell’opinione pubblica.

Per fare questo occorre un giornalismo al passo dei tempi. Servono nuove norme per l’ordinamento della professione.

Da un parte abbiamo una rivoluzione tecnologica permanente che incide pesantemente nei processi di comunicazione.
Dall’altra abbiamo una legge professionale sostanzialmente ferma al 1963, un’altra era geologica.  

Non voglio trascinare questa platea sui problemi della categoria, ma è doveroso far sapere che per un giornalismo di qualità, che sia di servizio per gli italiani, è necessario avere anche norme adeguate.

E’ una richiesta urgente,  indispensabile per favorire il rinnovamento di una professione che  svolge una funzione costituzionale fondamentale: garantire il diritto ad informare e ad essere informati. E la pandemia lo ha dimostrato.

Possiamo dire che c’è un’analogia, una vicinanza fra il ruolo dei giornalisti e quello del personale medico-sanitario, entrambi siamo stati in prima linea con la pandemia, abbiamo lavorato sotto pressione, entrambi abbiamo subìto insulti, minacce ed aggressioni dalle frange estreme die no-vax, ma possiamo dire, con orgoglio, che entrambi svolgiamo, con passione e impegno, una funzione fondamentale per i  cittadini e per la nostra democrazia.