La comunicazione emozionale … di Marina Martorana

Questione di chimica. Oltre la poesia, eccoci alle strategie di management per far leva sui neuroni degli utenti e indurli a scegliere il tal prodotto

“…tu chiamale se vuoi, emozioni” cantava Lucio Battisti in un suo indimenticabile successo. Ebbene no, qui non stiamo parlando di sentimenti  tra innamorati, bensì di come la scienza aiuti gli addetti ai settori a vendere, anche facendo leva sui neuroni.

Ed eccoci nel micro o macro mondo del neuromarketing, la disciplina nata dal connubio tra marketing e neuroscienze. Studiare il comportamento umano ha infatti rilevato un insieme di competenze per dare un  riscontro scientifico alla comunicazione cosiddetta, non a caso, emozionale.  

Non si tratta di pura e semplice poesia, bensì di sondare le umane emozioni. E,  per convenzione, sono catalogate come prime sei paura, rabbia, disgusto, tristezza, sorpresa e gioia . Sugli schemi di comportamento cognitivi, quindi, si costruiscono storie.

Altro non è che una questione di chimica: strappare lacrime o sorrisi, generare indignazione, spingere le persone a riflettere. D’altronde le emozioni scaturiscono da reazioni chimiche e si attivano da percezioni sensoriali.  

Più o meno, è possibile associare a esse 7 mila espressioni facciali. Ognuna è frutto di impulsi chimici elaborati da specifiche aree del cervello, peraltro le più legate ai fenomeni primordiali.

L’esempio più calzante e arcinoto per applicare la teoria, in modo da capirci, riguarda le pubblicità della pasta Barilla. Ritenuta da tanti banale, per certi versi lo è ma proprio in ciò risiede la sua forza comunicativa. A partire dal mangiare, bisogno primario, cui associare famiglia, legami, lontananza forzata, sentimenti affettivi universali.    

Non ultimo, oramai il pubblico è arcistufo di martellamenti pubblicitari – concetto da tenere assolutamente presente – quindi la tendenza è di umanizzare gli spot. Non è più protagonista il prodotto con le sue innumerevoli valenze o simil tali, sono le persone a spiccare.

Un piccolo passo indietro per meglio interpretare il presente. Nel 1990 si è iniziato a parlare di intelligenza emotiva, due studiosi americani hanno aperto il varco redigendo un primo articolo.

Chi però ha poi sviluppato gli annessi e connessi è stato il giornalista scientifico e psicologo statunitense Daniel Goleman che, nel 1995, ha pubblicato il libro “Intelligenza emotiva: che cos’è e perchè può renderci felici”.

Un bestseller internazionale che ha diffuso la conoscenza dell’argomento sia a livello sociale che professionale. Goleman, tra le altre, ha sostenuto che l’intelligenza emotiva è due volte più importante delle competenze tecniche.

In sintesi, l’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere e gestire le proprie  emozioni. E le competenze coinvolte sono  la consapevolezza di sé, la capacità di autocontrollo, la motivazione, l’empatia e le abilità sociali.

Il lavoro di Goleman ha dato il via alla elaborazione di strategie per il management, per arrivare al marketing emozionale.  Che porta innumerevoli vantaggi alle aziende. A partire dal miglioramento dell’ immagine del brand che, umanizzato, rafforza il legame con nuovi e vecchi clienti. Le persone sentono di appartenere a quel marchio.  

Le campagne promozionali basate su strategie emozionali hanno infatti un maggior numero di viralizzazioni e non solo.

Il pubblico rilascia molte recensioni, in quanto soddisfatto dal valore aggiunto immateriale che percepisce.  Passando al messaggio trasmesso, l’utente ne ha un ricordo che dura più a lungo. Stabilendo infatti un livello di connessione emozionale con il brand, esso resta impresso nella sua mente quasi come un’esperienza vissuta.

Un paio di esempi celebri? Lo spot di Coca Cola a fine 2020 si intitolava “Questo Natale il regalo migliore sei tu”. Il video mostra un papà che si inerpica sino al Polo Nord per portare la fatidica letterina della figlia a Babbo Natale. Non ci riesce. Infine, al rientro a casa, apre la missiva e scopre che il regalo desiderato dalla bimba era proprio lui. Un azzeccatissimo patchwork di sentimenti, non trovate?

E che dire della campagna  “Imagine” di Easy Jet, lanciata nel settembre 2018 dalla compagnia aerea, che risveglia o attizza un’altra umanissima sfera di neuroni?  Un viaggio pubblicitario multimediale, che ha fatto volare l’immaginazione e sognare la prossima avventura di quanti lo hanno visualizzato.

Pronti, partenza, via: cosa aspettiamo a ideare la prossima comunicazione emozionale?  

di Marina Martorana
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