Il marketing etico è possibile? La social media manager Ginevra Candidi ci racconta i lati oscuri e i più virtuosi della comunicazione
Donne belle e senza difetto, poco inclini alle attività pratiche (guai a metterle al volante di un’auto!) ma maestre nell’arte della seduzione, e uomini duri e puri che non esitano, non subiscono e ovviamente non piangono. Mai. È una rappresentazione del mondo che lascia perplessi, per usare un eufemismo, eppure è quella che ancora oggi emerge da un certo tipo di pubblicità.
Ma ci sono anche degli esempi più realistici, più «positivi», basta cercarli. È proprio per mettere in luce i casi di marketing etico e inclusivo che nel 2020 Ginevra Candidi, social media manager, ha lanciato il progetto Il lato b del marketing, che oggi è una community e una pagina Instagram divulgativa di successo.
L’obiettivo è ambizioso, ma necessario: cambiare il mondo una pubblicità alla volta.
Romana, classe 1996, Ginevra ha da sempre due grandi passioni: diritti umani e comunicazione. «Per molto tempo non ho saputo come coniugare queste due realtà», racconta, «Mi sono laureata in Scienze politiche e poi ho fatto un Master in Diritti Umani a Utrecht. Fin da bambina però ho avuto un interesse per la comunicazione, che ho esercitato tramite il teatro, la scrittura, il giornalismo… senza mai trovare la mia strada. Poi, durante la pandemia, ho finalmente unito le mie passioni e ho creato questo mio progetto».
Come è nata l’idea de Il lato b del marketing?
«Mi sono resa conto che nel mondo della pubblicità e del marketing non c’è abbastanza attenzione all’essere inclusivi né al rappresentare le persone per come sono, oltre gli stereotipi. Partendo da questa frustrazione, ho deciso di creare qualcosa che potesse diventare un messaggio positivo, una community di appassionati che pretende di più dal mondo della pubblicità e della comunicazione. Il lato b del marketing è il lato buono, che si oppone a quella comunicazione antica e tradizionale in cui le donne non sanno guidare, le anziane non hanno rughe e gli uomini non possono piangere. Il lato b è quello in cui la rappresentazione delle persone non è così piatta, ma è etica e inclusiva».
È una community che chiama a raccolta solo gli addetti ai lavori?
«Non solo. Il progetto è seguito da tanti che lavorano nel settore del marketing e più in generale in quello della comunicazione, ma oltre agli addetti ai lavori ci sono anche persone semplicemente interessante a una visione del mondo più inclusiva».
Quali sono gli stereotipi più diffusi oggi nel marketing?
«Sebbene negli ultimi 2-3 anni siano stati fatti grandi passi avanti, un esempio di stereotipo difficile da scardinare riguarda ancora le donne e le auto, perché continua a essere veicolato il messaggio della donna oggetto, della donna che non sa guidare.
Mi viene in mente anche il razzismo: la rappresentazione degli italiani non bianchi, anche nei brand più importanti, è molto problematica. In generale i problemi principali che riscontriamo nel marketing sono specchio di quello che vediamo nella comunicazione sociale e politica».
Nonostante se ne parli sempre di più, perché si fanno ancora pubblicità così poco inclusive e stereotipate?
«Ho in mente due motivazioni. Prima di tutto chi fa le pubblicità è sempre parte di una categoria privilegiata, quindi non vede certe problematiche. Spesso sono uomini, abili, bianchi. Le donne che lavorano nel digital marketing non sono poche, ma sono poche quelle conosciute da tutti. Un secondo motivo può essere la pigrizia mentale, quella che fa dire: “Abbiamo sempre fatto così”, “Al nostro pubblico piace”. Credo che con questo approccio alla fine si perdano le persone, i clienti».
E le pubblicità volutamente provocatorie e politicamente scorrette?
«Il “nel bene e nel male, purché se ne parli” è un approccio che secondo me, a lungo andare, non funziona. Si fa un po’ per esercizio di stile, ma a livello di vendite e brand reputation non è una buona strategia. Fare errori è normale, ma provocare per il gusto di farlo alla lunga non ripaga».
Con Il lato b del marketing ci ricordi che meritiamo una pubblicità diversa da quella a cui siamo abituati: cioè?
«La pubblicità che ci meritiamo parla con le persone e non usa stereotipi per raccontare esperienze, vissuti e bisogni. È una pubblicità che rappresenta davvero, perché sceglie di raccontare la complessità o almeno una complessità. È una pubblicità che non comunica in modo aggressivo e che rispetta sia chi lavora nell’azienda sia le persone a cui ci si rivolge».
Siamo sulla buona strada?
«Sono ottimista con riserva: bisogna sforzarsi tanto, ma secondo me la strada che stiamo percorrendo è quella giusta. Lo dimostra anche il fatto che adesso esistono eventi come il Social Woman Talk, in programma il 17 settembre 2021 online e in presenza a Roma. Anche io sarò tra le speaker. È dichiaratamente un evento di marketing femminista che vuole dare spazio alle donne in un settore che solitamente non lascia campo alle voci femminili. È il primo evento di questo genere in Italia».
Il marketing non stereotipato, inclusivo ed etico esiste, in Italia e fuori, e spesso diventa un caso da studiare. Nella gallery si possono scoprire alcuni esempi individuati e commentati da Ginevra Candidi.
Di Danilo Arlenghi
Presidente naz www.clubmc.it
Titolare
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