Il Giornalismo Ieri, Oggi, Domani (10) ad opera di Biagio Maimone

Il giornalismo di guerra nella storia fino ad oggi
Il giornalismo di guerra in Ucraina ed il suo messaggio dirompente a favore della pace

La guerra dichiarata dalla Russia all’Ucraina è narrata da una forma di giornalismo definito “giornalismo di guerra”, che racconta  le vicende belliche.

E’ ben evidente che si tratti di un giornalismo che richiede narratori e corrispondenti di guerra impavidi e capaci di affrontare gli orrori della guerra.

Difatti, essi devono raccogliere le notizie direttamente dal campo di battaglia. A partire dagli anni 2000 si è diffusa una forma di giornalismo di guerra definita “giornalismo incorporato”, che narra la guerra dal punto di vista del soldato e che richiede al giornalista di essere aggregato ad una parte militare. Ne deriva che tale parte militare può filtrare le notizie, anche se garantisce al giornalista la sicurezza per quanto attiene la propria incolumità.

La storia del giornalismo di guerra parte da molto lontano. Giulio Cesare può essere considerato il primo “inviato di guerra” in quanto narra le guerre del suo impero nel “De Bello Gallico” e “Nel De Bello Civili “. Erodoto può essere considerato il primo reporter della storia in quanto si recava personalmente nei  luoghi di guerra, al fine di raccontarla.

Ed, intanto, gli anni passano Ed ecco la Rivoluzione Francese.

Essa è narrata da una cronaca di guerra estremamente faziosa. Uno dei maggiori “giornalisti di guerra” dell’epoca fu Napoleone stesso, che divenne espressione di un’ informazione bellica “soggettiva”.

Solo con l’introduzione del telegrafo  inizia a farsi strada il giornalismo di guerra vero e proprio: la figura principale divenne quella dell’’ “inviato speciale”, il reporter che viaggia per il mondo raccontando vicende straordinarie.

Si crea il mito dell’inviato di guerra, che rischia la vita per essere testimone dei fatti di guerra. E’ una figura romantica, che, ancora oggi, in parte, sopravvive. Nel contempo anche le guerre cambiano volto.

Il reportage moderno nasce nei giornali quotidiani degli Stati Uniti, nella prima metà del XIX secolo. Il termine reportage deriva dall’inglese “to report”, ossia “riportare”, che è la missione degli  inviati speciali, giornalisti mandati in luoghi in cui accade un evento collegato a fatti bellici. Questo genere giornalistico si affermò quando la stampa divenne principale mezzo di informazione.

Come per le altre forme giornalistiche il principale problema del giornalismo di guerra è stato ed è quello del rapporto con l’obiettività dei fatti narrati.

Tale fattore risulta acquisire un’importanza centrale in quanto le parti in guerra ambiscono apparire come parte vincente e, pertanto, l’una più forte dell’altra.

Per apparire vincenti e più forti non vi è dubbio che occorra narrare fatti non veritieri.
Sappiamo che la prima vittima di ogni guerra è sempre la verità e che, pertanto, il rapporto con l’obiettività dei fatti narrati diventa molto spesso aleatorio e distante dalla realtà.

Il distacco dalla realtà e, pertanto, dalla verità dei fatti si evidenzia anche nella narrazione della prima guerra mondiale. Si trattò, infatti, di un giornalismo quasi completamente di parte. In Italia, la maggior parte della popolazione era contraria all’entrata in guerra. La stampa, però, veicolò la convinzione che gli interventisti fossero la maggioranza della popolazione.

Anche Benito Mussolini comprese che la stampa costituiva il mezzo più efficace per far credere al popolo italiano che entrare in guerra fosse una cosa “buona e giusta”. Per tale motivo creò il giornale “Il Popolo d’Italia”.

L’unica fonte d’informazione  attendibile, in quel frangente, furono i giornali americani, ma solo fino alla loro entrata in guerra, che fece prevalere, invece, il patriottismo sull’imparzialità.

Anche per la narrazione della seconda guerra mondiale l’imparzialità non venne assicurata. Furono circa 3000 i giornalisti che seguirono le operazioni militari sui vari fronti, ma si trattò solo di una piccola parte della miriade dei giornalisti che si occuparono del conflitto all’interno delle redazioni, in cui  i fatti potevano essere manipolati ad uso degli interessi di guerra.

La Germania, infatti, creò un immenso  apparato di manipolazione dell’opinione pubblica e di propaganda, guidata da Joseph Goebbels, esperto di comunicazione e fedelissimo a Hitler.

In Italia, invece, Mussolini aveva completamente fascistizzato la stampa e la radio. Direttori e giornalisti vennero convocati a Roma prima della guerra e ricevettero direttive riguardo a ciò che i giornali dovevano scrivere.

Dunque, l’informazione era quasi completamente falsata. Vennero tenute nascoste le sconfitte nei Balcani e l’intervento dei tedeschi che vennero in aiuto degli italiani. Molti giornalisti italiani furono al seguito delle truppe, tra cui Indro  Montanelli.

La situazione per quanto riguarda il giornalismo di guerra in Inghilterra e negli Stati Uniti fu, in parte, diversa. In Inghilterra le ragioni della guerra erano giustificate dal fatto che Hitler voleva conquistare il mondo. Il consenso era già consolidato.

I giornalisti ebbero, pertanto, grande libertà e, anche se non tutto fu permesso, in Inghilterra si ebbe una copertura giornalistica molto più veritiera di quanto si verificasse in ogni altro Stato. I bombardamenti da parte dei tedeschi su Londra, difatti, non furono mantenuti segreti.

Se tali bombardamenti, da un lato,  potevano avere l’effetto di demoralizzare la popolazione, dall’altro, accrescevano  il disprezzo verso i tedeschi, e, di conseguenza, potevano aumentare le motivazioni per voler combattere e resistere.

Negli Stati Uniti si ebbe una copertura neutrale e veritiera fino all’entrata in guerra, poi fu instaurato un vero e proprio organo di controllo dell’informazione e manipolazione dell’opinione pubblica.

Ogni fotografia o articolo fu sottoposto al controllo di un apposito centro di censura e propaganda prima della pubblicazione. I giornali americani presentarono la guerra come “perfetta”, condotta senza alcun errore. In realtà non fu così. La battaglia che ebbe la massima copertura fu lo sbarco in Normandia.

Per i reporter era la storia perfetta. I giornalisti, per seguire questa battaglia, dovevano essere con i soldati, e cioè, nel mezzo della battaglia. Per tale motivo, moltissimi giornalisti seguirono la battaglia direttamente dal fronte.

Sappiamo tutti che la Shoah fu uno dei maggiori crimini di guerra della seconda guerra mondiale. Circa 5 milioni di persone, ebrei, omosessuali, zingari e avversari politici, furono deportati, costretti ai lavori forzati ed uccisi con strumenti di sterminio come le camere a gas.

La stampa tedesca ed anche quella italiana nascosero al mondo quello che realmente stava accadendo nei lager. Possiamo affermare che il giornalismo di guerra, nella seconda guerra mondiale, fu molto lontano dalla realtà dei fatti, anzi non solo la manipolò, ma la nascose. Ciò denota come la narrazione della storia umana spesso, da parte del giornalismo di guerra, è stata distorta ed al servizio del potere .

Nel 21° secolo vi sono state la guerra in Afghanistan nel  2001 e la guerra in Iraq nel 2003. Per quanto riguarda la guerra in Afghanistan, come quella del golfo del 1991, vi fu il controllo da parte del  “News Management”.

Si ebbe una visione della guerra estremamente confusa. Non solo il “News Management”, ma nemmeno i nemici, cioè i Talebani, permettevano ai giornalisti di assistere agli scontri o di rimanere nella loro terra.

Fu impossibile valutare le missioni. Per quanto riguarda la guerra in Iraq nel 2003 possiamo affermare che non sono note le reali motivazioni per cui l’amministrazione Bush volle invadere l’Iraq e abbattere il regime di Saddam Hussein.

Restano aperti molti enigmi. Di certo è una guerra che si colloca nel quadro della “guerra al terrore” iniziata in Afghanistan. Infatti, circolava l’ipotesi secondo cui Saddam Hussein fosse implicato nella strage dell’11 settembre.

L’immagine di Saddam Hussein venne costantemente demonizzata dai media americani. Il crimine che la Casa Bianca condannò fu  il possesso di armi di distruzione di massa. La stampa seguì le direttive del governo e non vi fu contrapposizione alcuna.

Forte fu la voce dei movimenti pacifisti contrari alla guerra, anche in Europa, ma i media ad essi diedero poco risalto. La popolazione non fu informata dai giornali dell’esistenza di questi movimenti.

Percorrere la storia del giornalismo di guerra significa, pertanto, essere posti di fronte al fatto doloroso dell’abolizione della libertà di stampa e della falsificazione delle notizie, che induce a pensare che la vita umana sia  assoggettata ai grandi poteri e che la libertà tanta declamata possa essere solo un’illusione.

Anche se è vero che, alle origini del giornalismo di guerra, non vi erano apparati per controllare l’informazione, esso successivamente fu assoggettato ai governi che usarono la potenza dei media per consolidare il consenso interno della popolazione e manipolare l’informazione. Se la censura era già praticata da secoli, la propaganda raggiunse, con il primo conflitto mondiale, apici del tutto impensati.

Vi fu la minimizzazione delle sconfitte e l’esaltazione delle vittorie. Sono i governi ad assumersi il compito della propaganda, coinvolgendo intellettuali e giornalisti, utilizzando le tecnologie più avanzate, adottando i metodi della pubblicità allo scopo di influenzare la psicologia collettiva.

Tale pubblicità al servizio della guerra aveva lo scopo di creare il terrore per un nemico “disumano”, di alimentare il bisogno dell’individuo di identificarsi in un’entità superiore come la nazione e di  incentivare l’anelito alla vita eroica.

La guerra fu pubblicizzata come una necessità di difesa inevitabile, per cui la gioventù si sacrificava per il bene della patria.

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina si può affermare che essa ci conduce in uno scenario diverso rispetto alle altre guerre.

Attraverso il giornalismo che la narra, la guerra in Ucraina dimostra, innanzitutto, di essere una guerra fratricida che commuove l’intera umanità, in un mondo in cui la guerra è stata, in un certo senso, dimenticata.

La popolazione e, soprattutto i giovani, dicono no alla guerra non solo per avversione nei confronti di essa, ma anche perché lontana dai loro obiettivi di vita, che pongono al primo posto il valore della socialità universale, attraverso i social, la condivisione di relazioni che vanno oltre i confini della propria nazione.

Non c’è spazio per offensive belliche nel loro mondo di libertà universale e di informazione globale e non esiste chiusura, ma interazione, solo continua interazione. Nessuno vuole la guerra, neanche la stessa Russia, solo alcuni oligarchi, in quanto il mondo attuale si alimenta attraverso la comunicazione, che rimanda al dialogo con ogni realtà, che alimenta la stessa economia.

In tale scenario socio-politico ed economico diventa estremamente più facile riportare i crimini di guerra, i fatti di terrore e di sangue che la guerra genera.

Nel contesto mondiale attuale la guerra non trova che pochissimo spazio, in  quanto la formazione culturale prevalente è quella interattiva, è quella della comunicazione con tutti i popoli della terra, in cui prevale il valore del dialogo universale, anche grazie ai social, i quale riportano i fatti di guerra e costituiscono una cartina di tornasole sulla verità, sull’oggettività dei fatti  bellici, anche dove essi sono più crudeli ed orrendi.

Ed è per tale ragione che il giornalismo di guerra può narrare la guerra per quello che è, ossia morte,  sangue innocente versato senza pietà,  atrocità, crudeltà, morte della libertà, povertà, fuga e pianto, solo pianto perché dilaga la morte e la distruzione.

Assistiamo a tentativi di dirottare la verità della guerra verso la dimensione delle fake news, ma restano tentativi, subito smentiti e dissacrati.

Quale messaggio, dunque, può provenire dall’attuale giornalismo di guerra, sorretto dai social in modo vigoroso?

Il messaggio che giunge a tutti è davvero straordinario, ossia che la guerra è da aborrire, da odiare, da seppellire nei crimini contro l’umanità, in quanto solo veicolo di morte fisica e di morte dei sogni che l’umanità coltiva e realizza ogni giorno vivendo nella pace e ponendosi in relazione con altre persone, le quali abitano ed operano in nazioni, diverse dalla propria, in altre realtà, che non sono il  “chiuso” del proprio nazionalismo, ma l’universo intero, che anela a dialogare ed, attraverso il dialogo, costruisce spazi sempre migliori per ogni essere umano.

La propria nazione si, ma in sintonia con le altre nazioni del mondo, mediante la pace e la libertà: è questo il messaggio,  che sicuramente il giornalismo di guerra contemporaneo ed, in particolare, quello che riporta le azioni belliche in Ucraina,  fa giungere fino a noi e in ogni angolo della terra.

di Biagio Maimone
Giornalista e comunicatore, grande esperto di uffici stampa, inviato del quotidiano America Oggi, direttore responsabile di Marketing Journal e Segretario Generale del ClubMC

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