Good or bad news? Ai posteri la facile sentenza

Meglio informare con buone o cattive notizie?

I media si occupano di quanto fa salire l’audience, in base alle preferenze dello stesso pubblico. Per capire l’esubero di bad news risponde la scienza

Soldi, sesso, sangue. Definite le 3 S del giornalismo, sono state attribuite perlopiù a un presunto cinismo della categoria professionale. Perchè è innegabile che giornali, radio e tivù riportino prioritariamente, e con dovizia di dettagli, le cattive notizie.

C’è sempre poco spazio, si legge e si ascolta, per comunicare le buone.

Così si delinea uno scenario sociale dove i figli ammazzano i genitori per l’eredità, l’amante uccide moglie o marito per togliere l’avversario di mezzo, i negozianti vengono derubati da rapinatori che sparano micidiali colpi di rivoltella per ottenere al più presto il bottino e fuggire.

Perchè parlare solo o quasi di crimini?

La domanda è stata oggetto di discussione per tanto tempo, finché è intervenuta la scienza a dare, o a cercare di dare, esaustive risposte al dilemma.

In particolare Marc Trussler e Stuart Soroka, ricercatori dell’università canadese McGill, hanno approfondito e svolto test psicologici.

Per arrivare a concludere che esistono validi motivi per cui le persone preferiscono leggere o ascoltare le brutte notizie.

La prima è che l’essere umano risulta scientificamente più attratto da titoli che riguardano violenza, minacce, disastri piuttosto che da notizie neutrali o positive.

La seconda è che la maggioranza rimane molto colpita da notizie drammatiche in quanto convinta di vivere in un mondo ben più roseo del reale. Va detto che ogni individuo ha una sua personalissima visione del globo terrestre, quindi si stupisce di più con cattive notizie, che toccano la bolla protettiva da lui creata e in cui vive.

Va anche detto che i due ricercatori canadesi sostengono che a guidare le preferenze dei lettori sia l’effetto negatività, definito tale in psicologia per spiegare l’attrazione emozionale verso notizie negative.

Ebbene sì, la nostra mente, per sua natura, percepisce maggiormente gli elementi negativi. Parole come “cancro”, “bomba” e “guerra” sono colte più velocemente dal cervello umano rispetto a “bambino”, “sorriso” o “divertimento

Una teoria che tutti possiamo comprendere con un piccolo esempio. Ricordiamo perfettamente sgarbi, offese o epiteti ricevuti, invece ci scordiamo spesso di chi ha profuso verso di noi gesti, atti oppure parole benevole.

Interessante per meglio capire l’effetto negatività è pure l’esperimento condotto dallo psicologo americano John Cacioppo, fondatore del Centro per la neuroscienza cognitiva e sociale all’Università di Chicago. Ha infatti evidenziato la tendenza del nostro cervello a reagire più intensamente a stimoli che reputa negativi.

Come? Cacioppo, nel suo studio, ha mostrato a un gruppo di persone una serie di immagini che potevano suscitare sentimenti positivi, negativi o neutri. Nel frattempo registrava, con l’apposita attrezzatura, l’attività elettrica nella corteccia cerebrale, che riflette il livello di elaborazione delle informazioni.

Ha così appurato che gli stimoli che generano emozioni negative, come rabbia o paura, causano un aumento dell’attività nel cervello. In pratica, il nostro cervello valuta i rischi che persone e situazioni possono comportare, per motivi di sicurezza. Ne consegue che gli eventi negativi catturino la nostra attenzione più dei positivi, generando una maggior attivazione a livello cerebrale.

Insomma, ci piaccia o meno è così. Lo dice la scienza. E peggio ancora: alcuni studi sostengono che gran parte dei disturbi di ansia e paura siano dovuti proprio all’informazione. Informazione che, appunto, ci porta a essere attratti dalle bad piuttosto che dalle good news.

Già. E qual è il miglior modo per porgerle? I ricercatori hanno identificato che i due fattori più incisivi nel pubblico quando riceve cattive notizie sono i fatti e l’imparzialità. Ovvero, fornire spiegazioni adeguate e ragionevoli e trattare le persone con dignità.

A buon comunicatore…poche parole.

di Marina Martorana
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