Come cambiano contenuti e comunicazione negli eventi

I contenuti sono sempre più al centro della comunicazione degli eventi. Un’affermazione già vera nel pre-pandemia, che è diventata un mantra nella nuova dimensione dove, complice il digitale, “fare eventi” non può più prescindere dal modo di raccontarli.

Prima, durante e dopo l’evento diventano infatti – online e non – punti cardinali dai confini sempre più labili se quello che conta davvero nel comunicarli è attirare lead mirati, costruire attorno all’evento una community e soprattutto creare valore attorno ai suoi temi. Alla luce di questo, come cambiano i contenuti per raccontare gli eventi?

Gli obiettivi dei contenuti

Siti, blog e canali social diventano i canali privilegiati per raccontare gli eventi da più punti di vista. Ma come cambia la comunicazione negli eventi? E cosa conta perché “arrivi”? Le modalità di racconto di un evento, che sia prima di tutto efficace, possono essere diverse, ma quello che conta è partire da una strategia che tenga conto degli obiettivi della vostra comunicazione.

Se decidete di puntare sul blog dell’evento, per esempio, è fondamentale stabilire prima quali risultati misurabili volete ottenere. Possono essere quello di attrarre più partecipanti, aumentare i membri della community così come accrescere la brand awareness dell’evento.

Il tutto, con contenuti che sanno attirare l’attenzione e forniscono risposte efficaci, utili e autorevoli. Per fare un esempio: se un utente cerca sui motori di ricerca “eventi digital marketing 2022”, grazie ai contenuti del vostro blog (ma anche di sito e social) potrà trovare il vostro evento e se avrete lavorato bene potrà decidere di iscriversi alla newsletter, parteciparvi, seguire le discussioni sui temi, ecc.

È questo il principio del content marketing, che sfruttando tecniche di scrittura SEO (ossia, ottimizzata per i motori di ricerca) e in ottica di inbound marketing (che al contrario dell’outbound marketing non interrompe l’utente con messaggi pubblicitari ma lo attira nel momento in cui cerca informazioni) punta a “farvi trovare” dagli utenti, intercettando i loro bisogno e soprattutto fornendo risposte utili ai loro bisogni, come abbiamo visto nell’esempio.

La comunicazione di un evento, ma anche della vostra agenzia, è fondamentale per costruirne l’immagine, consolidare e trasmettere i valori che volete veicolare. Tra le diverse modalità di fare informazione che si stanno affermando con questi obiettivi c’è anche il brand journalism, ossia il giornalismo d’impresa.

In pratica, a diventare vero e proprio media è l’impresa stessa, o meglio, nel nostro caso, l’evento o l’agenzia organizzatrice, l’associazione così come l’azienda. Se l’obiettivo è costruire valore attorno all’evento, le tecniche giornaliste puntano su contenuti che diventano fonti di informazione autorevoli sui temi di interesse. Vediamo meglio di cosa si tratta, non prima di approfondire l’evoluzione dei contenuti nella meeting industry di questi ultimi anni.

Come si racconta la meeting industry

“Negli ultimi due anni la meeting industry è uscita dalla zona di comfort e – complice la pandemia e il cambiamento obbligatorio che ha determinato – ha deciso di investire di più sulla comunicazione attraverso linguaggi, prodotti e processi comunicativi diversi dal passato. Non a caso aziende della meeting industry che prima avevano una presenza nulla o scarsa sui social media, adesso hanno creato profili LinkedIn per comunicare B2B e Facebook e Instagram per comunicare più in chiave mainstream.

Professionisti della meeting industry oggi chiedono di lavorare sulle loro Digital PR perché è evidente l’esigenza di comunicare il prodotto MICE, non tangibile per tutti, e i valori sottesi alla meeting industry che rendono grande e di valore il lavoro che ogni professionista dell’industria compie ogni giorno per dipendenti, clienti, fornitori, partner e sponsor. E hanno deciso che per farlo desiderano ispirare fiducia e basare la comunicazione sulla stima e credibilità costruita come professionisti, diventando essi stessi ’strumento’ per la comunicazione del loro prodotto/servizio e della loro azienda”.

A spiegarlo è Alessia Di Raimondo, Founder Humans of MICE, Direttore Operativo BeAcademy e Vice President Communication MPI Italia Chapter. Secondo Alessia, la comunicazione nella meeting industry si è dunque umanizzata.

Se abbiamo capito di poter prescindere dagli spazi fisici, investendo su eventi virtuali e ibridi e avvalendoci di tecnologia innovativa per non interrompere il flusso degli eventi e il contatto con i propri clienti e interlocutori, allo stesso tempo abbiamo capito che non possiamo prescindere dalle persone che nutrono l’industria. A contare sono i contenuti che valorizzano le persone prima che le location, gli strumenti, le esperienze e quanto di materiale costituisca le fondamenta dell’industria”.

La comunicazione gentile

“A partire dallo strumento video e interviste che permettano di porre al front coloro che disegnano, progettano, organizzano, supportano e vivono gli eventi. Non solo video, ma anche audio, e quindi podcast. Tanti professionisti sono scesi in prima linea e sono tantissime le video interviste che su LinkedIn mostrano CEO, marketing manager, planner rivolgersi ai loro utenti per una comunicazione più amichevole, gentile e, a mio avviso, efficace. Contenuti dinamici, dove la creatività si fonde con l’umanizzazione del soggetto o dell’oggetto della comunicazione”.

Tra gli obiettivi della comunicazione degli eventi, c’è dunque anche quello di avvicinare alla meeting industry coloro che non appartengono a questa industria. Lo ha fatto per esempio la campagna social “The Unposted Side of G20” che sui canali delle tre società che costituivano l’ATI organizzatrice dell’evento ( Triumph Group International, Ega Worldwide congresses & events e Studio 80 Group) ha raccontato ai “non addetti ai lavori” modalità e terminologie dell’organizzazione di un grande evento come il G20 di Roma dello scorso ottobre.

“I contenuti danno corpo e voce alla meeting industry per comunicarla a largo spettro e in profondità. E, soprattutto, avvicinano coloro che non conoscono tutte le sfumature, i principi, i valori, gli ingranaggi di funzionamento, e infine, ma non per importanza, l’indotto che genera questa industria.

Personalmente sto lavorando per creare con Humans of MICE, una nuova comunicazione per il MICE e credo che le tendenze che leggiamo su LinkedIn e sulla stampa dimostrino che è la direzione verso la quale desidera fortemente andare l’industria, come in generale tutti i settori industriali” conclude Alessia.
Giornalismo d’impresa: perché negli eventi

Se raccontare gli eventi e le persone che li rendono possibili è una nuova esigenza della meeting industry, il brand journalism mette a disposizione le stesse tecniche del giornalismo tradizionale per farlo e per creare informazione attorno all’evento.

A livello internazionale tra gli esempi più classici di imprese che sono diventate esse stesse media pubblicando brand magazine di successo si può citare il Red Bulletin, edito dalla azienda produttrice della famosa bibita energetica Red Bull, che pubblica il suo magazine mensile in diverse lingue e tratta temi legati allo sport, al lifestyle, cultura, musica ecc.

Altro esempio tra i casi di scuola di brand journalism è Eni Tv, il canale Tv digitale della multinazionale del settore energetico che anche in Italia viene gestito come una vera televisione con direttore creativo, autori, producer e così via. E se guardiamo agli eventi, il Salone del Mobile pubblica da anni un magazine che tratta di architettura, design, cinema, e innovazione nelle sue diverse forme.

Pubblicare un brand magazine richiede sicuramente un grande impegno, non ultimo economico e organizzativo, che non sempre si può sostenere per un evento. Ma questo non significa che non si possa approfittare al meglio del brand journalism per la comunicazione del proprio evento.

Si possono infatti ingaggiare brand journalist per realizzare interviste ai relatori, ai partecipanti, approfondimenti sui temi dell’evento, per raccontare come è stato organizzato l’evento, le scelte dietro a modalità e organizzazione e così via dando personalità all’evento attraverso contenuti autorevoli e di valore, grazie all’oggettività e alla credibilità delle tecniche giornalistiche.

Come i giornalisti raccontano imprese, eventi e agenzie

“Il brand journalism serve a comunicare al pubblico e ai vari stakeholder la storia, la mission e i valori dell’azienda. È una sorta di “meta-comunicazione” che non può essere fatta affidandosi semplicemente a strategie di marketing pubblicitarie “tradizionali”.

Il brand journalism è un qualcosa di più che offre all’azienda la possibilità di farsi conoscere non solo per i prodotti e per i servizi che offre. Non si tratta più di un mero “racconto pubblicitario” (che rientra nelle attività di storytelling aziendale), ma di un vero e proprio “racconto giornalistico”, con le tecniche e gli strumenti tipici di questa professione” spiega Roberto Zarriello, esperto di strategie editoriali e brand journalism, imprenditore digitale, saggista, giornalista e curatore del libro “L’impresa come media” edito da Flaco Edizioni Group.

Ma cosa devono fare, in pratica, gli organizzatori che desiderano “fare” brand journalism? “Il brand journalist va selezionato con cura tra giornalisti o comunque tra professionisti del settore della comunicazione» spiega Roberto.

«Si tratta di professionisti che devono avere competenze trasversali. Bisogna anche ricordare che il brand journalist non lavora da solo, ma in un team redazionale che ha la necessità di programmare un vero e proprio piano editoriale e gestire tutte le sue fasi, sia che l’attività di brand journalism riguardi una rivista cartacea, i nuovi media o i social media, in pratica una vera e propria attività giornalistica che viene strutturata attorno al brand. L’errore sarebbe affidare un progetto di brand journalism al solo ufficio comunicazione o peggio ancora al solo ufficio stampa aziendale. Ripeto, occorre un team e un piano editoriale”.
Giornalismo d’impresa e ufficio stampa: le differenze

Tra i metodi di comunicazione più accreditati nel mondo degli eventi c’è il lavoro dell’ufficio stampa, che cura i rapporti con i media e diffonde contenuti di informazione per i giornalisti.

Per esempio prima di un evento l’addetto stampa invia un comunicato che annuncia l’evento e nel post un comunicato per raccontare cosa è accaduto, fa da tramite con la stampa per le interviste. Un metodo di comunicazione sempre valido e che oggi si integra con la comunicazione digitale, che però non va confuso con quello del brand journalist, come spiega Cristina Maccarrone, giornalista, brand journalist, SEOcopywriter freelance e curatrice, insieme a Roberto Zarriello, del libro “L’impresa come media”.

“Il brand journalist è una figura molto diversa dall’addetto stampa perché non è un comunicatore tout court (anche se può essere un giornalista iscritto all’albo) ma un giornalista che pertanto nel raccontare un evento avrà un occhio diverso e userà le tecniche che gli sono più consone.

Il che significa raccontare i fatti, fare interviste mettendo in luce alcuni aspetti, puntare sulle storie che ci sono dietro gli speaker e tutto quanto va oltre l’evento stesso: tendenze accompagnate da numeri (che sono emersi nell’evento oppure no), collegamenti con altre vicende e così via”.

Comunicare dall’interno

Una differenza sostanziale è che l’ufficio stampa si occupa dei giornalisti delle diverse testate – nazionali, locali, di settore e così via a seconda delle esigenze – che possono pubblicare i loro articoli sui giornali per cui lavorano, mentre il brand journalist produce contenuti per i canali stessi dell’evento: brand magazine, ma anche blog, notizie e così via.

“Per fare un esempio – continua Cristina – un brand journalist che su un brand magazine, ossia il giornale il cui editore è la stessa azienda che organizza l’evento, vuole raccontare com’è andata non si limiterà solo al riportare cosa è successo, ma cercherà di dare un respiro molto più ampio per catturare l’attenzione anche di chi non ha partecipato. Mettiamo che il tema dell’evento sia il digiuno come strumento terapeutico (ovviamente è solo un esempio)”.

“Un giornalista riporterà sì cosa hanno detto i vari interlocutori, ma intervistandoli scoprirà per esempio cosa li ha portati a determinati affermazioni, potrà fare uno speciale su come si è evoluta la teoria del digiuno – tenendo sempre a mente cosa si è detto di innovativo durante l’evento -, prendere altri dati, approfondire con interviste ad altri esperti non presenti, potrà ancora raccontare di eventi simili in altri stati”.

“Quello che lo differenzia dall’ufficio stampa è che quest’ultimo comunica cosa è avvenuto durante l’evento per dare delle informazioni base sia ai giornalisti che erano presenti sia a chi non ha partecipato. Poi saranno questi a decidere come sviluppare la narrazione. Se un’azienda che organizza l’evento si affida a dei brand journalist di suo, può invece decidere come raccontare giornalisticamente ciò che ha organizzato spaziando ancora di più e così facendo diventare quasi un punto di riferimento non tanto e non solo per eventi di questo genere, ma per queste tematiche. Si ritaglierà così un ruolo sempre più specifico».