Brandroad. Le vie della marca (8). A cura di Matteo Lusiani

Il brand come simbolo – 8

Una marca non serve solo a distinguere un prodotto dagli altri, ma comunica anche dei significati simbolici che non hanno nulla a che vedere con il prodotto. In questo senso possiamo descrivere un brand come un simbolo. 

Se questo è vero, allora per comprendere in profondità come funzionano le marche è fondamentale rivolgersi alla semiotica, ovvero alla disciplina che studia i segni (e quella particolare categoria di segni che sono i simboli).

 Alla base della semiotica c’è il rapporto tra forma e contenuto di un segno, ovvero tra significante e significato, o tra piano dell’espressione e piano del contenuto (per usare i termini più corretti dal punto di vista semiotico). Il primo termine si riferisce sempre a qualcosa di fisico: nel caso di un brand è il nome, il logo, il design o qualunque elemento distintivo. Il secondo termine si riferisce invece al significato che questi elementi hanno: le idee e le emozioni che suscitano nelle persone.

Il professor Andrea Semprini è stato un pioniere nello studio delle marche dal punto di vista socio-semiotico. Oggi è responsabile del master in Strategie di marca dell’Università di Lione 2 e ha pubblicato vari saggi tra cui “Marche e mondi possibili” e “La marca postmoderna”. Nell’ottava puntata del podcast Brandroad (disponibile da venerdì 9 settembre) illustra in maniera chiara e con molti esempi il funzionamento semiotico delle marche.

Leggere i brand come dei simboli ci aiuta anche a capire perché hanno così presa su di noi: perché gli esseri umani vivono in un mondo di simboli e interpretano la realtà attraverso di essi. Del resto il pensiero simbolico è uno dei modi con cui distinguiamo gli esseri umani dagli altri animali, in un certo senso è il superpotere che ci ha dato un vantaggio sulle altre specie. 

Negli anni Quaranta del Novecento il filosofo Ernst Cassirer ha definito l’uomo come “animale simbolico”, in contrapposizione alla definizione aristotelica di “animale razionale”. Per Cassirer ciò che ci rende umani è la nostra capacità di comunicare attraverso sistemi di simboli, come la cultura, i miti, l’arte e la scienza. I brand sono uno di questi sistemi. 

Qualche decennio dopo il filosofo Kenneth Burke ha dato un’altra famosissima definizione di uomo basata sul pensiero simbolico: “Man is the symbol-using (symbol-making, symbol-misusing) animal”. Ovvero, l’uomo è l’animale che usa i simboli, crea i simboli e usa male i simboli. 

Nel 1998, poi, l’antropologo Terrence Deacon ha pubblicato un libro intitolato “The Symbolic Species” in cui suggerisce che i meccanismi del pensiero simbolico umano siano talmente sofisticati che devono aver avuto origine ben prima della nascita di homo sapiens, nelle altre forme di homo ormai estinte. In effetti il simbolo più antico ritrovato tra le pitture rupestri si trova a La Pasiega, in Spagna, ed è stato tracciato con dell’ocra rossa da un uomo di Neanderthal (è una scala stilizzata di cui non abbiamo alcuna idea del significato).

Insomma, i simboli sono il meccanismo fondamentale con cui il nostro cervello interpreta la realtà. Nel mio viaggio alla scoperta di cos’è un brand sono arrivato a una prima certezza: un brand è un simbolo e agisce nella società e nella cultura come qualunque altro simbolo. Il suo valore economico non è altro che una conseguenza della sua efficacia nell’essere un simbolo riconosciuto e accettato dalle persone.

Matteo Lusiani

Consulente per strategie di branding | matteolusiani.com

Autore del podcast “Brandroad. Le vie della marca” | brandroad.it

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