Arte visiva e Comunicazione

COSA COMUNICA L’ARTE VISIVA?

Dalle origini rupestri al più intimo sentire dell’artista, ecco ritratti, denunce sociali, ironia, amore per la natura… Gioia e tripudio collettivi davanti alla grande bellezza? Non per chi soffre della sindrome di Stendhal.

Avete presenti le incisioni rupestri in Valcamonica, collezione tra le più antiche al mondo? Le prime risalgono all’Epipaleolitico, 8 mila anni ante Cristo. Imprimere su rocce segni grafici, dapprima grossolani, via via artisticamente affinati dall’umano ingegno primordiale per segnalare animali, terreni agricoli ma pure riti celebrativi o religiosi è stata la forma di comunicazione antesignana alla calligrafia.

Fortissimo, insomma, il connubio tra arte e comunicazione.

Basta ricordare, facendo un salto in avanti di secoli e considerando l’arte visiva, pezzi esemplari come Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, denuncia sociale di come viveva miseramente il proletariato a fine Ottocento, oppure Guernica di Pablo Picasso, dipinto per evidenziare la violenza cieca di tutte le guerre, che colpiscono allo stesso modo donne, uomini, bambini e animali, distruggendo ogni forma di vita.

Oggi, il maggior artista che usa l’arte come forma di protesta è Bansky, lo straordinario graffitaro inglese di cui poco o nulla si sa, ma imprime puntualmente il suo sdegno contro i soprusi qua e là, sui muri cittadini di tutto il mondo.

Il suo codice di comunicazione, spesso in chiave satirica, consiste nel documentare i problemi che affliggono la condizione umana. Tra cui non mancano temi di forte attualità quali atrocità della guerra, diritti degli omosessuali, inquinamento, sfruttamento minorile, abuso di potere.

L’arte non annovera, naturalmente, solo – sia pur efficaci e importanti – pennellate di critica contro le ingiustizie. La storia è articolata, poliedrica, infinita nelle sue molteplici espressioni.

In gran sintesi, dai ritratti in ere pre-fotografia che ci trasmettono l’immagine di nobili, condottieri, intellettuali di spicco alle sculture con raffigurazioni religiose o laiche, passando tra gli stili. Astratto-figurativo, concreto-figurativo, illustrativo, naif, surreale… E cavalcando le epoche, declinata in gotica, classica, romanica, rinascimentale, barocca…

Un patrimonio ad alta soggettività che tocca pittura, scultura, architettura come pure musica, danza, poesia, fotografia: ogni artista ci ha comunicato quel che sentiva maggiormente, le sue meraviglie sono la creazione estetica della sua interiorità.

Quanta ironia concettuale ci trasmettono, per esemplificare, le lattine di zuppa Campbells’ di Andy Wharol e la Merda d’artista (perdonate la gergalità, è proprio il nome dell’opera..), inscatolata e messa in vendita da Piero Manzoni?

Passando ad altro, l’amore per la natura e per la vita all’aria aperta è stata ben immortalata iconicamente soprattutto dagli Impressionisti e urbanisticamente da Antonio Gaudì, l’architetto spagnolo che si ispirava alla natura.

Definito dall’altrettanto illustre collega svizzero Le Corbusier come il «plasmatore della pietra, del laterizio e del ferro», Gaudì invece di dipingere soavi ninfee, notti stellate o eleganti colazioni sull’erba, optò per progetti edilizi.

Rifacendosi a forme e materiali naturistici, con invenzione di spazi e decorazioni dallo stile unico e irripetibile. Non é poi tanto strano, se vogliamo pensarci un attimo, che l’imponente Sagrada Familia di Barcellona, sua opera incompiuta causa morte prematura, non sia mai stata ultimata. Proposte su proposte, certo, ma come emulare un genio?

Stranetto, piuttosto, che esista la sindrome di Stendhal. O meglio che, nel 1977 e per la prima volta, la psichiatra Graziella Magherini abbia identificato e descritto scientificamente detto disturbo psicosomatico, catalogato in quanto tale. Tachicardia, capogiri, vertigini, confusione, allucinazioni in persone messe a cospetto con grandiose opere d’arte.

Possibile che la bellezza, invece di riempire i sensi di gioia, scateni fastidiose affezioni psicosomatiche?

Pare proprio di sì. Il nome deriva dall’esperienza descritta dallo scrittore francese Stendhal durante una sua visita alla Basilica Santa Croce di Firenze. Ecco alcune delle sue impressioni: Uscendo da Santa Croce, avevo le palpitazioni al cuore, quelle che a Berlino chiamano nervi: la vita in me si era inaridita, camminavo col timore di cadere……Bellezza come indizio dell’inizio del terrore..Arte che conquista, paralizza la vista, la vizia..

di Marina Martorana
titolare Studio Marina Martorana & Partners

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